La storia Fantastica
Il Dolore - prima parte
LA STORIA FANTASTICA
"Delle malattie e dei malati"
Qualche giorno fa mi sono svegliata con un fastidioso mal di testa. Ho fatto colazione e, irritata e di cattivo umore, ho assunto una bustina di FANS da banco aspettando con impazienza che il dolore svanisse. Cosa che puntualmente è successa nel giro di una decina di minuti. "Meno male, è passato!" Ritrovato immediatamente sorriso e buon umore, mi sono all'improvviso sorpresa a chiedermi come sarebbe stato se solo fossi nata qualche secolo fa...E così ha preso corpo l'idea di questa serie di racconti a metà tra storia e fantasia che si prefigge di immaginare il percorso di un paziente con un sintomo o una malattia dagli albori dei tempi fino ai nostri giorni.
Perchè?
Perchè l'ottimismo è uno dei beni più preziosi che l'umanità possegga e non può essere perduto nemmeno quando le cose non vanno, come ad esempio quando siamo ammalati.
E quindi consoliamoci con l'attuale possibilità di cure che mancavano ai nostri predecessori, adottando e sostenendo lo slogan che la salute deve essere sempre: "Oggi più di ieri e meno di domani"!!!
N.B. Pur mantenendo qualche ancora storica, le storie sono di pura fantasia.. Quindi prendete con le molle lo svolgersi degli eventi perchè è assai probabile che la realtà sia stata diversa! Ma l'importante, lo sappiamo, è divertirsi fantasticando un po'.
IL DOLORE
Dal momento che si tratta dell'esperienza (negativa) sicuramente più comune negli esseri viventi, merita senz'altro il primo posto di questa disamina.
Consideriamo una causa banale di dolore, senza addentrarci in patologie più o meno gravi: il comune mal di testa, il mal di denti, una distorsione.
Tiglat era nato a Ur in Mesopotamia intorno al 1500 a.c. da una famiglia di commercianti. Il padre si era arricchito trasformando in gioielli raffinati che venivano esportati nel Golfo Persico l'oro e l'argento che riceveva dall'Anatolia. E aveva voluto per il suo primogenito una carriera prestigiosa: quella di scriba notaio. Così all'età di 6 anni Tiglat era stato iscritto alla Scuola degli Scribi dove si era sempre distinto per diligenza e bravura nell'apprendere la difficile scrittura in accadico e sumerico. Tutto era filato liscio fino all'età di 15 anni quando una mattina si era svegliato con un feroce mal di testa, che gli impediva persino di alzarsi dal giaciglio. Aveva vomitato la cena e aveva continuato a vomitare anche se oramai lo stomaco era vuoto. La madre, sconvolta, era corsa allo ziqqurat e aveva implorato il Dio Nabu, protettore degli scribi, chiedendo di salvare il figlio dalla maledizione che lo aveva colpito. Aveva portato latte in quantità da offrire ai serpenti sacri al dio e le preghiere fecero effetto: dopo quasi 36 ore di sofferenze, Tiglat si addormentò e al risveglio annunciò felice di stare bene. Ma gli episodi di dolore tornarono di nuovo più e più volte, ora dopo qualche settimana, ora dopo qualche mese, qualche volta dopo solo alcuni giorni. E così i genitori, preoccupati, consultarono A-su (il medico) che visitò Tiglat e annunciò che era infestato dai demoni che, attraverso i denti, giungevano alla testa causando il dolore.
La cura? Per cominciare un esorcismo.
Il mattino seguente A-su si presentò alla casa di Tiglat insieme all'Ashipu (il medico specializzato negli esorcismi). Quest'ultimo, vestito di una tunica rossa, aveva in una mano un corvo e nell'altra un falcone. Pronunciò molte formule, tracciò segni nell'aria, versò acqua sulla testa e sul corpo nudo di Tiglat e infine gli fece bere un decotto a base di resina, birra calda e olio.
Per un po' l'esorcismo parve funzionare ma poi ritornò il demone, pardon, il dolore....
Allora A-su decise per un rituale di grande impatto: al sorgere del sole, Tiglat fu gettato nel Tigri con le mani legate dietro alla schiena mentre dalla riva il medico proclamava: "Affoga Demone e libera questo corpo dalla tua maledizione"! Fu solo per un caso che invece del demone ad affogare non fosse Tiglat il quale, disperato, alla fine riuscì a voltarsi sulla schiena e a respirare un po' d'aria tra un flutto e l'altro mentre la corrente lo trascinava via. Alla fine, dopo un'ansa, il fiume incontrava una secca e Tiglat si ritrovò affannato e terrorizzato sulla terraferma. Salvo! Sì ma la testa continuava a dolere!.
E allora A-su prese una decisione drastica: non si poteva ancora temporeggiare, si doveva agire. I preparativi furono fatti con cura: Tiglat restò digiuno 2 giorni, fece tre bagni al giorno per purificarsi, si vestì con una tunica candida e infine si recò allo ziqqurat di Nabu. Dopo l'offerta di latte ai serpenti sacri,Tiglat fu fatto stendere sopra una altare di pietra. Entrò il Gallubu (il chirurgo scarificatore) e A-su strinse forte il collo di Tiglat finchè non cessarono le convulsioni indotte dal ridotto apporto di sangue al cervello e il corpo si rilassò inerte. A quel punto A-su cessò la presa e prese a cantilenare le lodi del Dio implorando la sua benevolenza. Gallubu cominciò a tirare via i denti (perfettamente sani!) del povero ragazzo finchè rimasero soltanto le gengive sanguinolente e martoriate. "Ora i demoni sono stati tutti scacciati" esclamò trionfante A-su riconsegnando Tiglat ai genitori che, riconoscenti, offrirono oro, argento, cereali al tempio e ai suoi sacerdoti.
Così andava il mondo... E Tiglat? Oh beh, lui restò senza denti ma in compenso riuscì a conservare il mal di testa!!!!!
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Un po' meglio andò a Lisimba..
Nato intorno al 1000 nell'attuale Namibia, viveva con la sua tribù nel deserto del Kalahari. La sua nascita non aveva comportato festeggiamenti particolari: era una cosa naturale, come il sole che sorgeva o il vento che sfiorava la dune. Ma era stato amato e coccolato dai genitori e da tutti gli altri membri della tribù che giocavano spesso con lui mentre gli insegnavano le regole della vita. Erano nomadi, grandi camminatori e vivevano di caccia e di bacche. Riuscivano a "sentire" l'acqua delle scarsissime sorgenti che il loro habitat offriva e così la vita scorreva felice. La sera riuniti intorno al fuoco cantavano, felici di sentirsi vivi. Non avevano re o imperatori per cui tutti possedevano la giusta parte del poco che la terra offriva. Cacciavano per lo più antilopi, che abbattevano dopo inseguimenti che potevano durare giorni con frecce intinte nel succo di una pianta (Euphorbia damarana) che cresceva in cespugli spontanei ed era un potente veleno. Chi uccideva la preda ne era il legittimo proprietario ma solo per distribuirla equamente a tutti i componenti della grande famiglia così che tutti avessero da mangiare. Un giorno mentre correvano dietro ad una preda,Lisimba che ormai aveva 12 anni mise il piede destro dentro una buca di Suricate (piccola mangusta) e cadde gridando di dolore. Parte della tribù si fermò per soccorrerlo mentre il resto proseguiva la caccia. La caviglia di Lisimba apparve subito gonfia, violacea, dolentissima. Impossibile appoggiare il piede per terra, impossibile camminare. Non solo: il dolore era lancinante anche stando fermo. I familiari lo sistemarono all'ombra di un cespuglio di acacia e subito organizzarono il rito della danza: per tutta la notte le donne restarono sedute in cerchio attorno al fuoco cantando e battendo le mani mentre gli uomini danzavano al ritmo delle battute fino a cadere per terra stremati. A questo punto andarono da Lisimba e posero le loro mani sul petto e sulla schiena massaggiandolo per trasferire la loro energia vitale e allontanare così la malattia. Poi corsero a distanza dal bivacco scuotendo le mani nella notte per disfarsi dei demoni del dolore. Ma la caviglia di Lisimba restava tumefatta e anzi al mattino anche la gamba appariva arrossata e molto dolente mentre una bolla rossastra si andava formando intorno al piede.
Durante la giornata le condizioni di Lisimba andarono a peggiorare e il ragazzo cominciò ad essere scosso da brividi di freddo nonostante la temperatura sfiorasse i 40°C. Gli anziani scuotevano la testa, addolorati. "Il malvagio Guab si avvicina" ripetevano sottovoce riferendosi allo spirito dei morti e invocavano Kaggen perchè proteggesse Lisimba.
Ma niente sembrava funzionare, nemmeno la seconda nottata di canti e danze seguiti dal rito di trasferimento dell'energia.
Il mattino seguente Lisimba appariva prossimo alla morte: la sua pelle scottava, gli occhi restavano chiusi, il respiro era frequente e affannoso.
Ma ecco che dal bivacco poco lontano si avvicinò Shou, colui che volava. Era ormai anziano, aveva oltre trenta anni ed era scontante e scorbutico. Ma si raccontava che da giovane corresse così veloce che sembrava quasi volare: da qui il nome..
E aveva girato in lungo e in largo il Kalahari fino a trovare la Grotta dei Diamanti dove si sussurrava di acque magiche che donavano la sapienza. Ora viveva per lo più in disparte, partecipando solo assai di rado alla vita della tribù e veniva trattato con rispetto ma anche con una certa diffidenza.
E dunque fu con sorpresa che lo videro avvicinarsi al giaciglio di Lisimba, sollevare la pelle di antilope che lo ricopriva e aprire la sua borsa ricavata dalla vescica di un grosso animale. Dopo avere invocato Kaggen, versò della polvere sulla caviglia fratturata prima di conficcare una sottile asticella fatta con la parte cava della piuma di un grosso uccello sotto la pelle nel punto più gonfio della gamba. Sangue scuro misto a pus giallastro cominciò a defluire dalla cannulina. Shou lo asciugava con delle foglie e cantilenava ininterrottamente mentre tutta la famiglia restava in cerchio, a distanza, in silenzio.
Solo dopo alcune ore il sangue smise di stillare e allora Shou ritirò la cannulina e versò una manciata di cenere del fuoco sulla piccola ferita.
Poco dopo avvenne il miracolo: Lisimba aprì gli occhi e, in uno schioccare di suoni (tipici della lingua boscimana) dichiarò di avere sete.
Il padre gli porse felice un mezzo guscio di uovo pieno di acqua e Lisimba bevve avidamente.
La febbre scomparve e anche il dolore dopo che Shou ebbe legato attorno alla sua gamba delle stecche di cespuglio di acacia (ben ripulite da foglie e spine) e le ebbe fissate con cordicelle di intestino animale.
Ordinò che per trenta soli la gamba restasse immobile nella fasciatura e poi si ritirò ai margini dell'accampamento, sordo ai richiami e alle offerte di cibo.
Lisimba guarì perfettamente e tornò a correre e a cacciare con tutta la sua tribù come se niente fosse successo.
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Simon
Si era messo in viaggio da Arles alla fine del mese di aprile del 1202. Figlio di un ricco mercante e quindi educato fin da piccolo ai valori pratici della vita, come pesare correttamente le granaglie e riscuotere i denari dai compratori, era però sempre stato un sognatore.
Sentiva stretto il mondo dove era nato e vissuto e così all'età di 19 anni annunciò che avrebbe compiuto un pellegrinaggio a Roma per venerare la tomba dell'Apostolo Pietro.
In realtà lo scopo vero era quello di vedere il mondo, di scoprire nuove realtà e nuove persone. La madre pianse, il padre, dopo averlo guardato a lungo negli occhi, si mise ad organizzare il viaggio.
Due muli di scorta, due cavalli placidi e robusti per il figlio e il servitore che lo avrebbe accompagnato. Viveri, coperte, denari, abiti adatti al viaggio e loro ricambi. Ma soprattutto un documento scritto a mano dal vecchio frate Leopold che era già stato due volte a Roma ad omaggiare Apostolo e Papa.
Nel documento c'erano elencate le strade da seguire ma anche le locande e gli ospitali dove poter sostare la notte.
"Mi raccomando, non dormire mai all'aperto perchè i diavoli cattivi ti ucciderebbero!" esclamò Leopold. "Quali diavoli? Uomini o spiriti?" chiese Simon pensando tra sè che "se fossero uomini poco male, ho il mio coltello e il mio bastone ma se fossero spiriti..." "Tutti e due" replicò il frate consegnandoli poi una cassetta di legno pesantissima.
"Questo è il mio viatico per te" sussurrò sottovoce "Stai attento, ragazzo, e torna presto".
Ringraziato il frate, Simon appena giunto a casa aprì curioso la cassetta. Dentro c'erano due otri di pelle invecchiata ripieni di aceto fortissimo e una bisaccia piena di un sale grigio con sfumature rosate.
Simon aggrottò la fronte e appena gli fu possibile chiese chiarimenti al padre. "E' un dono inestimabile!" esclamò messer Roland "L'aceto ti salva dai miasmi velenosi che si trovano nelle ferite e il sale impedisce che rientrino una volta usciti.
Abbine un gran conto ragazzo!"
Il viaggio era iniziato sotto buoni auspici. Il tempo era mite, le strade asciutte e la sera precedente la partenza erano stati visti volare in cielo tre avvoltoi.
Le tappe venivano percorse veloci mentre Simon, pur affaticato dal duro cammino, prendeva nota con gli occhi e con lo stilo del paesaggio e dei popoli che incontravano. Finchè una sera giunsero in sosta presso un Monastero isolato presso una città chiamata Bononia.
Qui i buoni frati francescani avevano allestito un Ospitale di sosta per i pellegrini dove si poteva dormire e sfamarsi al caldo e al sicuro. Cadevano le prime ombre della sera e sistemati gli animali nella stalla e dato loro da mangiare, Simon e il suo servo entrarono nell'Ospitale.
C'erano già molti altri viandanti seduti sulle panche che correvano intorno ad un lungo tavolo posto davanti ad un immenso camino acceso al centro del quale in un enorme paiolo di rame sobbolliva una pappa gialla che spandeva un buon profumo. Occupati i lori posti, si sedettero e accettarono di buon grado una scodella di polenta sormontata da una generosa mestolata di verdure di campo cucinate con le erbe.
Ma appena si fu portato il cucchiaio di legno alle labbra, Simon gridò di dolore.
Preoccupato il suo servo lo scosse gridando.
"Padrone, padrone, cosa succede? ti hanno avvelenato?" La mano del servo già cercava il pugnale... "No, no" rispose Simon "Un dolore terribile mi ha colto qui"..
Indicava l'interno della bocca, verso il fondo della mandibola a sinistra dove, guardando con una torcia, il servo vide che c'era una gonfiagione arrossata con una punta di bianco nel centro.
Il dolore intanto tormentava Simon ed ormai era arrivato a interessare anche il collo, il volto e la testa.
Impossibile mangiare! Ma impossibile anche dormire! La zona colpita martellava e doleva "Come se ci fosse un demone che cerca di uscire!"
Provò a lavare la zona con l'aceto e poi ci mise del sale ma senza sollievo.
Il frate locandiere, preoccupato, mandò a chiamare il frate apotecario.
Costui venne, visitò attentamente Simon e scosse la testa preoccupato alla vista delle condizioni della gengiva.
"Una verme sta distruggendo l'osso!"
Questa fu la sua diagnosi.
Sbigottito, Simon chiese cose si potesse fare.
"Dobbiamo tagliare per fare uscire il demone" fu la cura proposta.
Simon sbiancò in volto e scosse la testa risoluto, scartando la proposta.
"Ma non c'è altro modo!" ribattè il frate afferrando un coltello appuntito "Altrimenti il demone ti distruggerà!!".
Simon lo minacciò deciso "Non osare toccarmi!"
Aveva dentro agli occhi l'immagine di un suo concittadino cui il barbiere del paese aveva cavato due denti...Uno spettacolo peggiore del peggiore campo di battaglia..
Allora l'apotecario, seccato per la stupidità dell'uomo, consigliò una mistura da applicare sulla gengiva per uccidere il demone cattivo.
Simon accettò, sollevato e grato per questa soluzione meno cruenta..
Fortuna volle che il laboratorio dell'apotecario fosse isolato, dietro al convento e che Simon non potesse assistere alla preparazione della mistura.. "Escrementi essiccati di cane, un pizzico di pelo di topo triturato, creta, polpa di mela trapassata, aglio selvatico, cera"... L'apotecario ripeteva a bassa voce l'elenco degli ingredienti per essere sicuro di non dimenticare nulla.
Ottenne infine una pappetta puzzolente che spalmò con cura sulla gengiva del povero Simon, scosso da violenti conati di vomito pur a stomaco vuoto a causa dell'odore pestilenziale della medicina.
"Vedi?" esclamò trionfante l'apotecario "i cattivi umori già lasciano il tuo corpo!" indicando la bile che il paziente aveva sputato. "Mi raccomando, spalma di nuvo la mistura ad ogni quarto".
Consegnò il resto della preparazione al servo di Simon, augurò la buonanotte e si ritirò.
Così ora Simon aveva dolore alla gengiva dove il suo primo dente del giudizio cercava disperatamente di erompere e anche mal di stomaco a causa del medicamento...
Stava per ritirarsi nella stanza per la notte quando si avvicinò un viandante che aveva assistito a tutta la scena dal suo cantuccio dove sedeva tenendo ancora addosso il mantello con il cappuccio alzato, nonostante il tepore.
Costui aveva una cicatrice che attraversava tutta la guancia sinistra ma ciononostante emanava fiducia. Forse per via dello sguardo diretto dei suoi occhi di un azzurro intenso. Oppure per la struttura solida del suo corpo che tradiva un soldato. Sta di fatto che Simon si trovò ad annuire quando lo sconosciuto consigliò il "suo" rimedio.
"Ho viaggiato in lungo e largo e ho più volte combattuto col dolore. Non funzionano questi rimedi primitivi. Conosco una donna che chiamano strega ma non è strega: ha solo potere sulle erbe. E lei ti può guarire. Se vuoi ti accompagno"
Nonostante le proteste del servo, Simon lasciò alla chetichella l'ospitale e si incamminò nella notte con lo sconosciuto.
Camminarono a lungo al chiaro di luna risalendo il pendio del monte dietro al monastero finchè di fronte a loro si profilò una caverna.
Di guardia c'era un grosso felino biondo che soffiò minacciosamente ai due uomini.
Si udì una voce melodiosa da dentro la caverna "Vieni Nuvola, sono solo un amico e un malato".
Come per incanto la bestia smise di soffiare, andò verso di loro e si strusciò alle loro gambe invitandoli a seguirlo.
Dentro la caverna c'erano ovunque fasci di erba appesi ad essiccare e una gran fuoco che scaldava e illuminava l'immenso ambiente.
Ingiocchiata vicino al fuoco una donna senza età.
Il volto incorniciato da lunghi capelli neri era serio, intelligente, intenso.
"Dimmi cosa ti affligge" chiese a Simon. Ascoltò attentamente poi versò dell'acqua bollita e tiepida in una tazza di legno, aggiunse aceto e sale e lo invitò a sciacquare bene la bocca. Lo fece sedere di fronte al fuoco e gli ordinò di aprire la bocca. Guardò a lungo, tastò la gengiva delicatamente con un dito e scosse la testa. "Non c'è nessun demone: stai solo per diventare adulto"
Simon la guardò sorpreso "Perchè dici questo? io sono un uomo, da tempo"
"Sì ma i tuoi denti no. Vedi, da grandi a quasi tutti noi spuntano nuovi denti. Sono i denti del coraggio, della virilità e tu stai soffrendo per questo. Ma passerà presto e avrai ancora più coraggio e più forza. Ora ti preparo una pozione contro il dolore".
Prese un ciuffo di mandragola, la pestò a lungo in un mortaio, versò sopra acqua bollente e lasciò in infusione.
Quando fu tiepida la filtrò con un panno, aggiunge miele e un grado grigiastro di oppio e porse la tazza a Simon ordinandogli di bere.
Senza esitare, il paziente vuotò la tazza. "Ora cerca di dormire un po'" disse la donna facendolo stendere su un giaciglio di erbe profumate accanto al fuoco.
Quando si svegliò il giorno seguente, il sole già splendeva alto nel cielo e il dolore era quasi completamente scomparso.
Felice, Simon ringraziò la sua curatrice che gli consegnò un piccolo otre ripieno della pozione analgesica spiegandogli come farne uso.
Uomo fortunato, Simon! Aveva rischiato di perdere denti e forse molto di più per un'operazione inutile e dannosa. A dimostrazione che il dente del giudizio ha un nome molto azzeccato: il giudizio deve sempre essere lucido, in ogni decisione da prendere!
Continua con le prossime storie...